La tavolata di F. Bicini

Atto unico, scritto nella prima metà degli anni sessanta. Nel flash di un pranzo di nozze, descrive un mondo ancora fresco nella memoria del nostro costume, con un ricco campionario di umanità che, pur tra battute umoristiche e momenti di euforia, svela le sue meschinità e le sue debolezze. Gli sposi, lungi dall’essere i protagonisti della festa, sono solo il pretesto per mettere a nudo quanto serpeggia tra gli invitati, un gruppo di gente che, invece di abbellire con la sua affettuosa presenza il giorno più bello della coppia, indaga,spettegola, borbotta, critica, litiga. E i genitori degli sposi, che si accapigliano per questioni di interesse, non fanno eccezione.
Il testo, molto colorato per la varietà e le situazioni dei personaggi, nasconde tra le righe una drammaticità che emerge via via, fino a scoppiare, sul finale, con l’irruzione dell’ex fidanzata-guastafeste che, mentre grida il suo dolore, smaschera l’ipocrisia di questa “tavolata” di gente “perbene”. Violenza prima, sarcasmo e amarezza poi, avvolgono tutti gli invitati che, ad uno ad uno, nel silenzio, se ne vanno. Resterà solo, sempre chino sul suo piatto, indifferente o forse ignaro di quanto è accaduto intorno a lui, la figura del “magnatore”, simbolo della più pura materialità. Un finale perfettamente in linea con lo stile comico-amaro di Bicini che presenta nei suoi lavori una costante tensione interiore e l’approfondimento del carattere di tutti i suoi personaggi.